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Pompei, la sorpresa: gli schiavi avevano una dieta che oggi chiameremmo “healthy”

• Dec 5, 2025, 11:25 AM
5 min de lecture
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Dalla villa di Civita Giuliana, nel parco archeologico di Pompei, riaffiora un frammento sorprendente della vita quotidiana degli schiavi romani: fave, pere e mele conservate con cura per mantenerli in salute. Un quadro che ribalta alcuni luoghi comuni e mostra come, in certe circostanze, chi era considerato solo uno “strumento parlante” potesse essere alimentato meglio di molti cittadini liberi.

Le ultime scoperte arrivano dagli scavi finanziati con 140mila euro nell'ambito della Campagna nazionale prevista dalla legge di bilancio 2024 promossa dal ministero della Cultura.

Come riportato nell’E-Journal degli Scavi di Pompei, il primo piano del quartiere servile della grande villa ha restituito anfore contenenti fave - una delle quali ancora semivuota -e un voluminoso cesto con frutta, probabilmente pere, mele o sorbe.

Questi alimenti integravano la dieta di uomini, donne e bambini schiavizzati che vivevano in celle di circa 16 metri quadrati, ciascuna occupata da fino a tre letti. Per il proprietario, mantenere in buona forma lavoratori dal valore di migliaia di sesterzi era una priorità: proteine e vitamine erano essenziali per sostenere l’efficienza dei lavoratori agricoli.

Dieta, rese agricole e condizioni di vita

La scelta di collocare al piano superiore i viveri sembra rispondere a una doppia esigenza: proteggere il cibo dai roditori - già rinvenuti in grande quantità al pianterreno, privo di pavimentazione vera e propria - e gestire in modo rigoroso i razionamenti quotidiani.

Le porzioni potevano variare per ruolo, età e sesso, mentre la sorveglianza era forse affidata ai servi di maggiore fiducia, come suggerisce un precedente studio sul complesso servile.

Gli archeologi stimano che per alimentare una cinquantina di lavoratori, pari alla capienza del quartiere servile, fossero necessari annualmente circa 18.500 kg di grano, coltivati su un’estensione di 25 ettari.

Per evitare malnutrizione e malattie, legumi e frutta diventavano fondamentali. Non stupisce quindi che gli schiavi delle ville pompeiane potessero, in alcuni casi, nutrirsi meglio di famiglie libere costrette a vivere di espedienti o a chiedere aiuto ai notabili cittadini.

La villa restituisce altri frammenti di storia

Le indagini stanno interessando il settore nord del quartiere servile, sotto l’attuale Via Giuliana, riportando alla luce strutture murarie dei piani superiori e quattro stanze divise da tramezzi in opus craticium.

Villa Servile Civita Giuliana
Villa Servile Civita Giuliana Pompei

Al piano terra sono stati ottenuti calchi di ante lignee con borchie in ferro, probabilmente parte della porta a doppio battente che dal portico conduceva al sacrario.

Un altro calco sembra appartenere a un attrezzo agricolo, forse un aratro a spalla o una stegola, mentre un grande pannello ligneo potrebbe essere l’anta di un portone in fase di riparazione, trovata vicino alla cosiddetta stanza del carpentiere.

“Vicende come questa rendono evidente l’assurdità del sistema schiavistico antico”, afferma Gabriel Zuchtriegel, direttore di Pompei e co-autore dello studio. “Esseri umani trattati come macchine, ma con una realtà che sfugge a ogni tentativo di disumanizzazione. Aria, cibo, bisogni: tutto ci ricorda che la linea tra schiavo e libero era più sottile di quanto immaginiamo. Temi che restano attuali: oggi si contano oltre 30 milioni di persone nel mondo in forme moderne di schiavitù”.

Dal contrasto ai tombaroli ai progetti di valorizzazione

La villa di Civita Giuliana è oggetto di indagini archeologiche dal 2017, in sinergia con la Procura di Torre Annunziata, che ha lavorato per bloccare un saccheggio durato anni. Le campagne 2023-24 hanno approfondito la zona situata tra il quartiere residenziale e quello servile, verificando i dati raccolti dalle indagini giudiziarie.

È attualmente in corso il progetto “Demolizione, scavo e valorizzazione in località Civita Giuliana”, finanziato con fondi ordinari del Parco Archeologico. L’intervento prevede la rimozione di due edifici costruiti sul quartiere servile e l’ampliamento degli scavi, per ricostruire la planimetria della villa e definire nuove strategie di tutela e valorizzazione.


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