Dazi Usa: entrate in vigore le tariffe doganali per decine di Paesi al mondo volute da Trump

Gli Stati Uniti hanno iniziato a imporre dazi sulle merci provenienti da decine di Paesi, quattro mesi dopo che il presidente Donald Trump aveva annunciato il suo piano per riformare radicalmente il commercio globale.
La Casa Bianca ha confermato che, a partire dalla mezzanotte di giovedì, i prodotti di oltre 60 nazioni – inclusa l’Unione europea – saranno soggetti a tariffe che possono arrivare fino al 50%.
L’introduzione di queste tariffe doganali, specifiche per Paese, arriva dopo mesi di intensi negoziati, condotti in vista della scadenza di agosto fissata da Trump. Il presidente Usa aveva lanciato a inizio aprile le cosiddette “tariffe reciproche”, inizialmente sospese per 90 giorni e poi prorogate per altre quattro settimane.
Alcuni Paesi sono riusciti a ridurre le aliquote previste raggiungendo accordi con Washington. L’Unione europea e il Giappone, ad esempio, vedranno le loro esportazioni tassate al 15%, ben al di sotto del 30% e 25% minacciati in precedenza. Altri Paesi asiatici – tra cui Indonesia, Pakistan, Filippine e Vietnam – si sono accordati per tariffe intorno al 20%.
Ma non tutti sono stati altrettanto fortunati. Paesi come Laos, Myanmar e Siria, già segnati da conflitti e instabilità, dovranno affrontare dazi pari almeno al 40%. Le merci dal Brasile, invece, sono state colpite dalla tariffa massima del 50%, in parte a causa del malcontento espresso da Trump per il trattamento riservato all’ex presidente Jair Bolsonaro.
Tensioni ancora aperte
Alcuni importanti partner commerciali, come India e Cina, hanno ottenuto più tempo per negoziare. Trump non ha ancora chiarito se estenderà la scadenza del 12 agosto per trovare un’intesa con Pechino, necessaria ad evitare dazi fino al 245% già minacciati in passato.
Anche l’India non ha ancora raggiunto un accordo. Mercoledì scorso, Trump ha firmato un ordine esecutivo che potrebbe raddoppiare le tariffe sul Paese – dal 25% al 50% – a causa dei continui acquisti di petrolio russo. L’India ha 21 giorni per rispondere.
Secondo gli esportatori indiani, queste misure potrebbero compromettere oltre la metà delle esportazioni verso gli Stati Uniti e causare la perdita di clienti storici. “Assorbire un aumento così improvviso dei costi non è sostenibile. I margini sono già ridotti al minimo”, ha dichiarato S.C. Ralhan, presidente della Federazione indiana delle organizzazioni di esportazione.
Anche la Svizzera nel mirino
Anche la Svizzera è tra i Paesi che non sono riusciti a negoziare un’intesa. Il Consiglio federale, organo esecutivo del Paese, ha convocato una riunione d’urgenza giovedì, dopo il ritorno della presidente Karin Keller-Sutter e di altri funzionari da un viaggio lampo a Washington.
L’obiettivo della visita era quello di negoziare una riduzione delle tariffe statunitensi, attualmente fissate al 39%, una delle aliquote più elevate imposte dal governo Trump. Sui social, Keller-Sutter ha condiviso foto degli incontri con il Segretario di Stato americano Marco Rubio e con esponenti del settore commerciale statunitense e svizzero. Ma nessun annuncio ufficiale è stato fatto sull’eventuale riduzione delle tariffe, che restano tra le più alte in assoluto.
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