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Giornata del ricordo delle vittime delle foibe, Mattarella: "10 febbraio non sia divisivo"

• Feb 15, 2025, 5:01 PM
8 min de lecture
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Il 10 febbraio è la giornata del ricordo per le vittime delle foibe e gli esuli istriano-dalmati, giorno di commemorazione del massacro di migliaia di italiani da parte delle forze jugoslave del maresciallo Tito.

La ricorrenza, istituita nel 2004 sotto pressione del Governo italiano e dei familiari di chi è scomparso, ricorda sia i morti che le tante persone che hanno lasciato le loro case.

Le reazioni della politica italiana alla giornata per le vittime e i profughi istriano-dalmati

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha invitato a "preservare e onorare la memoria delle vittime. La giornata perderebbe il suo valore autentico se fosse asservita alla ripresa di divisioni o di rancori".

Il presidente ha inoltre lodato contestualmente il ruolo dell'integrazione europea per "ricomporre fratture profonde fra gli Stati", come quella del silenzio sulle foibe. Ha ricordato, fra le varie cose, come l'Italia si muove con i suoi partner croati e sloveni per far luce sui crimini delle truppe titine.

La presidente del Consiglio Giorgia Meloni è stata in visita il 10 gennaio alla foiba di Basovizza, diventata simbolo delle vittime. In quell'occasione ha dichiarato: "oggi torniamo ad abbracciare tutti i nostri connazionali, che decisero di abbandonare tutto pur di non rinunciare alla propria identità".

Il tweet con le immagini della presidente del Consiglio Giorgia Meloni alla foiba di Basovizza

Ha aggiunto poi Meloni: "continueremo a raccontare alle giovani generazioni ciò che è successo ai fiumani, agli istriani e ai dalmati, perché la loro storia è patrimonio della Nazione. Una storia che ha sconfitto la congiura del silenzio e che nessun tentativo negazionista o giustificazionista potrà mai nascondere o cancellare".

Ricordo trasversale in Italia

Come già detto, la ricorrenza è stata istituita nel 2004, dal governo Berlusconi II, per ricordare la tragedia. In un primo momento, si trattava di una celebrazione divisiva, vista da diverse parti come "contraltare" alla giornata della memoria delle vittime della Shoah.

Ma non si registra nessuna presa di posizione contraria o giustificazionista da parte di esponenti dell'opposizione, che hanno partecipato alle celebrazioni con un tono sobrio e istituzionale.

I fatti di Basovizza e un'eredità controversa in Croazia

Nella giornata del 9 febbraio, alla vigilia delle celebrazioni, sono state ritrovate delle scritte in sloveno sulla strada di fronte ai cancelli della foiba di Basovizza: "Trieste è nostra, morte al fascismo, libertà per i popoli". Scritte puntualmente cancellate.

L'atto vandalico ha portato alla dura condanna da parte di Mattarella. "Squallide provocazioni non possono minare il ricordo delle vittime", ha dichiarato.

La questione delle foibe resta invece molto più complessa in Croazia, terra d'origine del maresciallo Tito e sede, nel periodo fra le due guerre, di uno dei partiti fascisti più feroci d'Europa.

Nel 2019 Antonio Tajani, all'epoca presidente del Parlamento europeo, fece un discorso per commemorare i fatti delle foibe. Gli rispose in maniera molto dura Andrej Plenkovic, all'epoca premier croato, chiedendo chiarimenti e accusandolo di "sostenere rivendicazioni territoriali".

Quest'anno, non si registrano dichiarazioni delle autorità croate in tal senso.

Le celebrazioni congiunte con la Slovenia

Quest'anno, la capitale della cultura europea sarà Gorizia\Nova Gorica, città divisa fra Italia e Jugoslavia\Slovenia fino al 2004, anno dell'ingresso di Lubiana nell'Ue. L'otto febbraio, il presidente Mattarella ha partecipato alla giornata d'inaugurazione insieme all'omonima Nataša Pirc.

Il tweet su Mattarella a Gorizia capitale della cultura

Cinque anni fa, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e il suo omonimo Borut Pahor si sono incontrati ai cancelli di Basovizza e sono passati mano nella mano per l'ingresso della foiba, in modo da deporre una corona sull'altare che ricorda le vittime.

I massacri delle foibe

Dopo la caduta di Benito Mussolini nel 1943, la situazione nei Balcani occidentali si fa particolarmente difficile: Roma controllava l'Istria, la Dalmazia e Rijeka (all'epoca chiamata Fiume). Ma in quell'area le truppe fasciste, sempre più in difficoltà contro i partigiani jugoslavi del maresciallo Tito, avevano lasciato mano libera ai nazisti.

Le truppe nazifasciste iniziarono a compiere massacri contro i partigiani jugoslavi, come quello di Lipa nell'aprile 1944. Alla fine, le vittime nel territorio jugoslavo saranno 1,7 milioni.

Ma il controllo sempre più labile dell'area da parte dei fascisti portò alla perdita di aree sempre più estese, e a rappresaglie contro la popolazione italiana: i partigiani jugoslavi iniziarono a gettare nelle foibe (cavità carsiche) un numero di persone che oscilla fra i 3.500 e gli 11mila.

Fra di essi, la maggioranza (circa l'80 per cento) erano soldati fascisti, e il 97 per cento uomini. Ma in mezzo ci furono anche tantissime vittime civili e innocenti. Rappresaglie furono compiute nelle province di Pola, Trieste e Gorizia, a maggioranza italiana, ma occupate dai partigiani di Tito.

Lo storico Raoul Pupo, uno dei massimi esperti sul tema, parla di "rappresaglia su base politica, più che etnica", ma questo non toglie l'immane e ingiustificata violenza tenuta dalle truppe titine.

Il destino della regione dopo la seconda guerra mondiale

Nel febbraio 1947, dopo diverse discussioni sul destino di quella regione, l'area dell'ex regione italiana della Venezia Giulia venne divisa in due: Trieste sotto occupazione anglo-americana, Fiume, l'Istria e la Dalmazia ai titini.

La fase delle uccisioni è a questo punto quasi del tutto conclusa, ma inizia l'esodo della popolazione di lingua e cultura italiana: fra le 250 e le 300mila persone scapparono, lasciandosi dietro tutto.

A Zara, per esempio, se ne andarono 15mila persone su 22mila abitanti totali, tutti di origine italiana. Oltre al danno, molti di loro dovettero subire la beffa di essere trattati da cittadini di serie B nel Paese, dal momento che in molti ricollegavano la loro origine e la loro fuga al collaborazionismo fascista.

Alcune città si impegnarono comunque nell'accoglienza dei nuovi venuti: a Roma, nel 1948, venne costruito il "villaggio Giuliano" nella parte sud della città. La Spezia, invece, prese 4mila profughi. Ma per anni, le associazioni delle vittime non riuscirono a sfondare il muro del silenzio.

Il cammino verso la giornata del ricordo

Malgrado questo, negli anni '90 le vittime iniziarono ad avere un loro spazio nel dibattito pubblico, con personalità come Norma Cossetto o Andra e Tatiana Bucci. Nel 1992, venne rotta la dottrina consolidata di non indagare sui crimini di guerra in Istria e Dalmazia.

Venne infatti accolta la denuncia di Nadia Cernecca, figlia di un infoibato, per aprire un processo contro gli autori dei massacri ancora in vita. Processo che si concluderà in un nulla di fatto, dal momento che nel 2004 venne affermato che i magistrati italiani non avevano la competenza territoriale per questo tipo di reati.

Nello stesso anno, però, a riconoscimento della sofferenza e delle perdite degli istriano-dalmati alla fine venne istituita la giornata del ricordo per gli esuli e le vittime.


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