Ilva, piano a ciclo corto e cassa integrazione: perché l’Italia punta a guidare l’acciaio europeo
Cresce la tensione sull’ex Ilva, impianto siderurgico a ciclo integrale, uno dei più grandi d'Europa_._ Al termine del vertice di ieri alla Presidenza del Consiglio tra il ministro delle Imprese e Made in Italy, Adolfo Urso, e i rappresentanti sindacali, i nodi principali restano irrisolti. Il risultato? La cassa integrazione aumenta e i sindacati chiedono il ritiro del piano, mentre il governo conferma la sua linea e apre a nuovi potenziali investitori.
"La rimodulazione delle attività da qui a fine dicembre richiederà l’incremento del ricorso alla cassa integrazione da 4.550 a circa 5.700 unità, con integrazione del reddito a partire dal 15 novembre" hanno riferito i sindacati citando le parole di Urso.
Dal 1° gennaio, a causa del fermo delle cokerie per i lavori di decarbonizzazione, la cassa integrazione salirà a 6.000 unità, con l’impatto maggiore su Taranto. Attualmente, la cassa integrazione riguarda 4.450 dipendenti, di cui 3.800 nello stabilimento pugliese, su circa 10.000 lavoratori totali.
I sindacati, saliti sulle barricate, considerano il piano un passo verso la chiusura della fabbrica, contestando l’aumento della cassa integrazione e la gestione operativa dei prossimi mesi.
La sfida dell'acciao green
Il governo, invece, definisce il piano “a ciclo corto”, con l’obiettivo di accelerare i lavori agli impianti e completare la decarbonizzazione entro quattro anni, facendo diventare l’Italia il primo Paese europeo a produrre solo acciaio green.
L’acciaio green rappresenta il futuro della siderurgia, perché combina produzione industriale e rispetto ambientale. A differenza dei processi tradizionali, che utilizzano coke e carbone generando elevate emissioni di CO2, la produzione di acciaio green si basa su forni elettrici alimentati da energie rinnovabili o sul cosiddetto Direct Reduced Iron (DRI), che utilizza idrogeno al posto del carbone.
In questo modo, le emissioni di gas serra si riducono drasticamente, mentre l’impiego di materiali riciclati permette di risparmiare risorse naturali e limitare ulteriormente l’impatto ambientale. Per l’Italia e per l’Europa, l’acciaio green non è solo un passo verso la sostenibilità, ma anche una scelta strategica per garantire competitività, ridurre la dipendenza da importazioni più inquinanti e allinearsi agli obiettivi climatici europei.
Contenuti principali del piano
Dal 15 novembre a febbraio 2026, gli impianti saranno sottoposti a manutenzioni straordinarie: altoforno 2 e 4, acciaieria 2, treno nastri 2, rete gas coke e agglomerato, impianti marittimi, interventi ambientali e adeguamento alla normativa antincendio (Atex e prescrizioni Ctr).
Da marzo 2026, gli interventi proseguiranno sugli altri impianti, possibilmente a cura del nuovo acquirente. L’obiettivo dichiarato: garantire la continuità produttiva, tutelare la sicurezza dei lavoratori e mantenere le quote di mercato europee.
Il piano prevede inoltre un fermo programmato delle batterie di cokefazione dal 1° gennaio 2026 e l’avvicendamento tra altoforno 4 e 2 a metà gennaio per circa 20 giorni.
Parallelamente, il governo punta a garantire fornitura di gas competitiva per i nuovi impianti Dri e forni elettrici, essenziali per la transizione green.
Investitori e privatizzazione
Il governo conferma i negoziati con i fondi americani Bedrock e Flacks Group, mentre sarebbe emerso anche un nuovo soggetto straniero, ipoteticamente dal Qatar, che ha già avuto accesso alla data room per manifestare interesse.
Le trattative con Bedrock includono una revisione dell’offerta iniziale, che prevedeva solo 3.000 occupati, mentre con Flacks Group è in corso la verifica di un business plan più dettagliato.
L’importanza strategica dell’ex Ilva in Europa
L’ex Ilva rappresenta uno degli stabilimenti siderurgici più grandi d’Europa, con un ruolo cruciale nella produzione di acciaio e nella sicurezza delle forniture.
Il piano governativo prevede inoltre interventi europei: dal 3 dicembre nuove misure per la sicurezza economica e, il 10 dicembre, revisione di Cbam e ETS per tutelare il settore siderurgico. L’obiettivo è affrontare la sovraccapacità globale, limitare le importazioni senza tariffe e rafforzare la tracciabilità dei mercati dell’acciaio.
Terreni e reindustrializzazione
Il governo indica le aree disponibili per la reindustrializzazione: 170 ettari del sito Ilva, 370 ettari del demanio portuale, altre zone Asi e provinciali, 300 ettari del demanio militare e terreni in prossimità di nodi logistici come Grottaglie. Priorità a progetti energetici, meccanici, logistici e industriali ad alto contenuto tecnologico.
Sindacati e futuro dello stabilimento
Nonostante le garanzie del governo, i sindacati rimangono fermi: la cassa integrazione crescente e il ritmo degli interventi li convince che il piano sia un preludio a riduzioni occupazionali e smantellamento graduale. Il confronto resta acceso e nei prossimi giorni sono previsti nuovi incontri per definire il futuro dello stabilimento più grande d’Italia e della sua forza lavoro.