Perché rame, alluminio e acciaio dominano l'agenda di Trump, al di là dell'economia

Come nel caso dei dazi imposti Paese per Paese del governo statunitense, i pesanti prelievi del 50 per cento su tutte le importazioni di acciaio, rame e alluminio vanno al di là delle questioni economiche. A guidare le scelte sono anche valutazioni meramente politiche, a partire dal desiderio di Trump di rilanciare le industrie statunitensi un tempo dominanti. L'idea è di entusiasmare la base del movimento Make America Great Again (Maga), di cui lo stesso presidente americano è leader.
Trump considera acciaio e alluminio vitali per la sicurezza nazionale
"Gran parte delle motivazioni alla base dei dazi imposti su materie prime come il rame è di natura politica", ha dichiarato a Euronews David Stritch, analista senior di FX presso Caxton. "Trump ha più volte espresso la propria frustrazione per l'inversione di tendenza nella produzione dei tre materiali, di cui gli Stati Uniti erano leader fino agli anni Ottanta ma che poi si è spostata verso il Cile per il rame e la Cina per l'acciaio e l'alluminio", ha proseguito.
Trump ha a lungo individuato l'acciaio e l'alluminio come la spina dorsale della forza americana, collegando la loro produzione alla sopravvivenza economica e alla sicurezza nazionale. Già durante il suo primo mandato ne aveva sottolineato l'importanza. E ora il presidente americano ribadisce che "un'industria dell'acciaio e dell'alluminio forte è vitale per la nostra sicurezza nazionale. Assolutamente vitale".
"L'acciaio è l'acciaio. Se non ce l'hai, non hai un Paese. Le nostre industrie sono state prese di mira per anni e anni - decenni, in realtà - da pratiche commerciali straniere sleali che hanno portato alla chiusura di impianti e fabbriche, al licenziamento di milioni di lavoratori e alla decimazione di intere comunità. E tutto questo finirà, si fermerà", aveva dichiarato all'epoca.
Il crollo dei futures sul rame dopo l'annuncio delle esenzioni
Per quanto riguarda il rame, gli Stati Uniti importano attualmente circa la metà delle loro risorse, soprattutto da Cile e Canada. Mercoledì, i prezzi della materia prima sono scesi bruscamente prima della scadenza del 1 agosto per l'attuazione dei nuovi dazi, con i futures sul rame statunitense scesi del 20 per cento a circa 4,55 dollari o 3,94 euro per libbra, segnando il più grande calo infragiornaliero di sempre.
Ciò è avvenuto dopo che i prezzi erano saliti a livelli record a luglio, al momento dell'annuncio delle politiche commerciali. Cogliendo di sorpresa gli investitori, il presidente ha poi annunciato questa settimana che la materia prima - al contrario dei prodotti semilavorati - sarebbe stata esentata dal dazio (vi saranno sottoposti solo fili, tubi e lamiere).
Nel frattempo, il raddoppio dei dazi sull'acciaio e sull'alluminio, passati al 50 per cento dalla precedente aliquota del 25 per cento, ha fatto invece aumentare in modo significativo i prezzi dei metalli nel mercato interno degli Stati Uniti, tagliando fuori le importazioni dal punto di vista dei costi e aumentando la volatilità per i produttori.
Le politiche commerciali del primo mandato di Trump non portarono ai risultati sperati
L'aumento dei costi dei fattori di produzione e la riduzione della disponibilità stanno costringendo le aziende statunitensi a prendere in considerazione il reshoring (il rientro per chi aveva delocalizzato) dei loro investimenti e la riprogettazione delle catene di approvvigionamento.
Resta però da verificare se le tariffe daranno effettivamente impulso alla produzione nazionale, cosa che non è avvenuta con i prelievi imposti da Trump durante il suo primo mandato. Nel 2024, la produzione di acciaio degli Stati Uniti risultava infatti inferiore dell'1 per cento rispetto al 2017, prima dei primi dazi di Trump, mentre quella di alluminio era diminuita di quasi il 10 per cento.
Secondo un'analisi recente, i dazi potrebbero aumentare i costi di produzione fino al 4,5 per cento, comprimendo settori a margine ridotto come quelli dei veicoli elettrici e degli elettrodomestici, oltre a ritardare gli investimenti nei principali poli produttivi del Paese.
Il nodo delle industrie "strappate" agli Usa
Per la maggior parte del XX secolo, gli Stati Uniti sono stati il primo produttore di rame al mondo, fino a quando il Cile ha conquistato questo titolo, segnando la fine del dominio statunitense. Oggi il Paese sudamericano ne mantiene la leadeship.
Per quanto riguarda la produzione di acciaio, gli Stati Uniti hanno raggiunto un picco all'inizio degli anni Settanta, prima che il settore subisse un crollo prolungato, aggravato da una serie di recessioni. Sistemi più economici ed efficienti in Giappone, Corea del Sud, Europa e altrove hanno scalzato le acciaierie integrate statunitensi ad alto costo. Il dollaro forte ha reso l'acciaio straniero ancora più conveniente, mentre gli impianti nazionali sono stati gravati da attrezzature obsolete, contratti di lavoro onerosi e costi ambientali in aumento.
Le città siderurgiche - quelle che Trump vuole ora rilanciare quasi 50 anni dopo - sono crollate economicamente, nonostante gli interventi governativi per tenerle a galla. Per questo motivo la regione che va da New York al Midwest continua a essere chiamata "Rust Belt" (cintura di ruggine), in riferimento a stabilimenti e siti produttivi corrosi e da tempo in disuso.
Per quanto riguarda l'alluminio, gli Stati Uniti sono stati il primo produttore mondiale di alluminio per gran parte del XX secolo, soprattutto grazie all'abbondanza di elettricità a basso costo necessaria per la fusione e alla forte domanda interna da parte delle industrie della difesa, aerospaziale e automobilistica. All'inizio degli anni 2000, la Cina ha superato gli Stati Uniti come primo produttore di alluminio.
"La più grande base a sostegno di Trump, principalmente i colletti blu che non hanno un'istruzione universitaria, ha vissuto il più grande calo di opportunità di lavoro come risultato di questa delocalizzazione", ha affermato Stritch a Euronews.
Aumento dei costi, soprattutto nelle industrie ecologiche
I dazi imposti da Trump su rame, acciaio e alluminio rischiano però di sconvolgere le industrie che fanno grande affidamento su questi materiali, dall'edilizia alla difesa, fino alle tecnologie verdi. "In pratica, tutti e tre i materiali sono ampiamente utilizzati, dai pannelli solari alle batterie per auto, e si può ipotizzare che sia proprio la base produttiva statunitense a risentirne in misura maggiore", ha proseguito Stritch.
"Questa pressione - aggiunge l'esperto - è più sentita in settori come i veicoli elettrici e le energie rinnovabili, dove tali metalli sono essenziali e i margini di profitto sono già minimi". In particolare, nel settore della produzione di auto elettriche "i profitti medi sono del 5 per cento. Per questo possiamo ipotizzare che, a causa dei dazi, il comparto possa dover sopportare il maggior aumento dei costi".
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