Rientrato in Italia il sacerdote Nandino Capovilla, espulso da Israele "per ragioni di sicurezza"

È tornato martedì pomeriggio in Italia il sacerdote Nandino Capovilla, 63 anni, bloccato lunedì al suo arrivo all'aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv, trattenuto e poi espulso per "motivi di sicurezza nazionale".
Don Nandino Capovilla, parroco di Marghera, in provincia di Venezia, era arrivato in Israele per partecipare, insieme a circa altre quindici persone, a un pellegrinaggio guidato dall'arcivescovo Giovanni Ricchiuti, presidente della sezione italiana del movimento progressista cattolico Pax Christi.
A tutto il gruppo è stato permesso di entrare regolarmente nel Paese, mentre a Capovilla è stato negato l'ingresso per motivi non chiari: un documento che gli è stato dato all’aeroporto cita "considerazioni relative alla sicurezza pubblica, alla pubblica incolumità o all’ordine pubblico".
Il parroco è stato trattenuto per sette ore in una stanza descritta dagli amici come una "prigione" vicino all'aeroporto. Si è rifiutato di firmare l'ordine di espulsione consegnatogli dalle autorità israeliane e in seguito è stato informato che sarebbe stato deportato in Grecia, con l'obbligo di presentare una domanda preventiva per entrare in Israele in futuro.
Il sacerdote veneziano è stato coordinatore nazionale di Pax Christi dal 2009 al 2013 e da oltre venti anni partecipa a iniziative e campagne a sostegno della pace, dei diritti umani, del dialogo interreligioso e della non violenza.
A marzo ha pubblicato il libro Sotto il cielo di Gaza, nel quale ha raccolto testimonianze di vita dei palestinesi della Striscia, raccontando le brutalità compiute da Israele in quasi due anni di guerra e sottolineando che i gazawi stanno subendo un genocidio che deve essere raccontato prima che "la logica umana collassi".
Don Capovilla chiede sanzioni per Israele
Nel post con cui ha annunciato il suo rimpatrio dopo essere stato rilasciato, Capovilla si è rivolto "a chiunque scriva": "Basta una riga per dire che sto bene, mentre le altre vanno usate per chiedere sanzioni per lo Stato che tra i suoi 'errori' bombarda moschee e chiese mentre i suoi orrori si continua a fingere che siano solo esagerazioni".
"Non autorizzo nessun giornalista a intervistarmi sulle mie sette ore di detenzione se non scrivono del popolo che da settant'anni è prigioniero nella sua terra", si legge ancora nel post pubblicato sul suo profilo Instagram.
Pax Christi ha pubblicato su Facebook il video dell'arrivo all'aeroporto Marco Polo di Venezia del parroco, dopo un lungo viaggio attraverso Cipro, Strasburgo e Francoforte. Ad attenderlo, tra gli applausi, un gruppo di amici e sostenitori che hanno intonato "Free Palestine".
"Tutto questo non è nulla rispetto all'umiliazione quotidiana che i palestinesi subiscono da anni. Ma ormai si è rotto l'incantesimo del quale siamo un po' tutti corresponsabili, l'impunità di Israele. Il punto non è che sia successo a un sacerdote, succede ben di peggio. Ancora una volta, però, non è possibile che a Israele sia stato sempre concesso tutto, per paura. La paura d'essere sospettati di antisemitismo, che è una cosa orribile ma non c'entra. Piuttosto, c'entra il comportamento di uno Stato, di un governo, l'intenzione genocida che si mostra a Gaza", ha dichiarato Capovilla al Corriere della Sera subito dopo il suo rientro.
Con il quotidiano il parroco ripercorre le ultime ore. Le autorità israeliane si sono accorte che era un sacerdote - "è la prima cosa che ho detto, ero pure in abiti ecclesiastici" - e non gli hanno dato spiegazioni sul fermo. "Immagino possa essere per il mio impegno, per il libro Sotto il cielo di Gaza. Ho chiesto spiegazioni e mi continuavano a ripetere il ritornello del pericolo per la sicurezza dello Stato".
"Mi hanno portato in un box chiuso per altri controlli e infine in una piccola stanza, una sorta di guardiola, senza cellulare né valigia, sorvegliato da quattro persone. Dovevo chiedere permesso anche per andare in bagno, accompagnato nel tragitto, una privazione della libertà abbastanza umiliante", ha raccontato Capovilla.
Nel frattempo è intervenuta la Farnesina e, con discrezione, anche il Patriarcato di Gerusalemme. "Non so bene cosa sia successo ma dopo sette ore mi hanno liberato e sono potuto salire sul primo volo".
Polemiche per il trattamento degli attivisti da parte di Israele
Il caso di Capovilla non è l'unico: negli ultimi mesi si sono verificati diversi episodi simili.
Due attivisti australiani hanno confermato al Guardian di essere stati sottoposti a "brutali torture psicologiche" e trattati come "criminali" dopo che a fine luglio Israele ha intercettato la nave umanitaria Handala, diretta a Gaza. È stato impedito loro di comunicare con il mondo esterno o di ricevere medicine prima dell'intervento dell'ambasciata australiana.
La Handala, con a bordo 21 attivisti, tra cui la giornalista Tania Safi e l'attivista per i diritti umani Robert Martin, trasportava cibo e medicine per gli abitanti della Striscia, vittime di una crisi umanitaria che le Nazioni Unite hanno definito "il peggiore scenario di carestia".
Il 9 giugno l'esercito israeliano aveva intercettato la nave Madeleine della stessa flottiglia, tra i cui passeggeri c'era l'attivista svedese Greta Thunberg, che è stata poi deportata.
L'incidente del 2010 a bordo della nave turca Mavi Marmara rimane l'episodio di questo genere più tristemente celebre, quando nove attivisti furono uccisi dalle forze israeliane, alcuni di loro colpiti alla testa da distanza ravvicinata.
L'episodio scatenò ampie critiche internazionali e riaccese i riflettori sul conflitto israelo-palestinese e sul trattamento riservato da Israele agli attivisti.
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