Gaza, 246 giornalisti uccisi: la guerra più letale per la stampa nella storia moderna

In un’escalation senza precedenti contro la libertà di stampa, la Striscia di Gaza si è trasformata in uno dei luoghi più pericolosi al mondo per i giornalisti. Dal 7 ottobre 2023, giorno dell’attacco di Hamas al sud di Israele fino all’agosto 2025, almeno 246 reporter sono stati uccisi dalle forze israeliane, secondo il sindacato dei giornalisti palestinesi e l’ufficio governativo per i media di Gaza.
È un bilancio che fa di questa guerra il conflitto più mortale per i professionisti dei media nella storia moderna, superando perfino il numero dei giornalisti uccisi durante i sei anni della Seconda guerra mondiale.
Ma le uccisioni non sono l’unica minaccia. I giornalisti di Gaza vivono le stesse condizioni dei civili: assedio, fame, malattie, sfollamenti, con l’aggravante di dovere continuare a testimoniare in prima linea ciò che accade.
Numeri e denunce: Israele accusato di “uccisione sistematica”
Un rapporto del Comitato internazionale per il sostegno ai giornalisti (Icsj), con sede a Ginevra, ha rivelato che nella prima metà del 2025 sono state registrate in Palestina 536 violazioni contro giornalisti e media, quasi il 50 per cento in più rispetto allo stesso periodo del 2024.
Nel solo primo semestre sono stati uccisi 56 giornalisti nella Striscia di Gaza, un numero che conferma l’escalation nel prendere di mira i reporter.
L’Ufficio dei media di Gaza ha parlato di una “uccisione sistematica” e ha ritenuto Israele pienamente responsabile, invitando la Federazione Internazionale dei Giornalisti, l’Unione dei Giornalisti Arabi e altre organizzazioni a intraprendere azioni legali internazionali.
Secondo le autorità locali, il bilancio delle vittime è salito a 246 dopo la morte di cinque reporter impiegati anche da grandi media internazionali colpiti durante un raid israeliano sul complesso medico Nasser, nel sud della Striscia.
Altri sei giornalisti, tra cui cinque membri della troupe di Al Jazeera, sono stati uccisi il 10 agosto in un bombardamento che ha colpito la loro tenda vicino all’ospedale Al Shifa di Gaza City.
Gli esperti di diritto internazionale confermano che colpire i giornalisti nei conflitti armati costituisce un crimine di guerra, ai sensi delle Convenzioni di Ginevra, che obbligano le parti in conflitto a proteggere i reporter come civili, a meno che non prendano parte direttamente alle ostilità.
Testimonianze dal campo: tra bombe e fame
I giornalisti raccontano di vivere una condizione di doppia vulnerabilità: da una parte condividono lo stesso destino dei civili, dall’altra devono documentare la tragedia, diventando dei bersagli diretti dei bombardamenti israeliani.
"Siamo sotto un feroce attacco israeliano, bersagli deliberati che devono impedire la nostra copertura. L’occupazione ha vietato l’ingresso ai giornalisti internazionali, ha interrotto le comunicazioni e tenta un blackout totale", dice Islam Badr, corrispondente di un'emittente televisiva Tv a Gaza.
La giornalista della televisione turca Trt, Ruba al-Ajrami, racconta la sua esperienza da reporter e madre.
"Mi sento svuotata dopo così lungo tempo sotto minaccia. Ho vissuto spostamenti forzati, difficoltà nel trovare cibo e medicine. Ogni giorno mi trovo davanti a una scelta: documentare la sofferenza del mio popolo o raccontare la mia, come madre che cerca di salvare i figli", ha detto a Euronews al-Ajrami.
Per la freelance Doaa Shaheen, lavorare a Gaza è “quasi impossibile”.
"Non abbiamo una sede sicura, né attrezzature. Siamo sotto bombardamenti, spesso senza elettricità né Internet. Abbiamo perso decine di colleghi che cercavano solo di raccontare la verità. Non lottiamo solo per pubblicare notizie, ma anche per mantenere viva la nostra storia", ha spiegato Shaheen.
Altre testimonianze come quella di un'altra reporter, Aya Jadouda, sottolineano la determinazione a continuare nonostante le privazioni. "Molti di noi escono a lavorare a stomaco vuoto, ma lo facciamo perché il sangue dei nostri colleghi caduti ci obbliga a non fermarci", ha detto Jadouda.
Un'altra giornalista Salma al-Qadoumi racconta di essere stata sfollata venti volte, rifugiandosi infine negli ospedali, bombardati a loro volta. È stata ferita due volte, mentre il suo cameraman è stato ucciso. "Non abbiamo più case né privacy, viviamo solo per resistere e documentare", ha concluso al-Qadoumi.
Il blackout mediatico: l’assenza dei reporter stranieri a Gaza
Dall’inizio del conflitto, Israele nega l’accesso ai giornalisti internazionali. I media stranieri devono quindi basarsi quasi esclusivamente sul lavoro dei reporter palestinesi, che operano senza alcuna protezione legale.
Recentemente, 17 senatori statunitensi hanno chiesto al segretario di Stato Marco Rubio di fare pressione su Israele affinché permetta l’ingresso immediato dei giornalisti stranieri e garantisca che non vengano presi di mira. Anche il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha commentato la questione, dicendo che “sarebbe un’ottima cosa se i giornalisti andassero a Gaza”, pur ammettendo che le condizioni di sicurezza rendono l’ingresso troppo rischioso.
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