All’Onu Netanyahu sotto pressione: “Mai uno Stato palestinese a ovest del Giordano"

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu interverrà venerdì a partire dalle 15, ora di Roma, all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, in un clima di tensione crescente. Sempre più Paesi chiedono la fine della guerra tra Israele e Hamas nella Striscia di Gaza, mentre nuove adesioni al riconoscimento della Palestina stanno modificando gli equilibri diplomatici.
Quest’anno il discorso del premier israeliano è particolarmente atteso, dopo che Francia, Belgio, Portogallo, Regno Unito e altri Stati hanno dichiarato ufficialmente il proprio sostegno alla soluzione dei due Stati, un’ipotesi che Netanyahu continua a respingere. Parallelamente, l’Unione europea ha presentato un pacchetto di misure che include sanzioni contro Israele per l’offensiva a Gaza e per le azioni in Cisgiordania.
Il leader israeliano si trova inoltre al centro di una vicenda giudiziaria senza precedenti: la Corte penale internazionale ha emesso nei suoi confronti un mandato d’arresto con l’accusa di crimini contro l’umanità. Anche la Corte internazionale di giustizia, massimo organo delle Nazioni Unite, sta esaminando la denuncia del Sudafrica che accusa Israele di genocidio a Gaza. Netanyahu ha respinto con fermezza ogni addebito.
Poco prima di partire per New York, il premier ha anticipato il tono del suo intervento: “Condannerò quei leader che, invece di denunciare assassini, stupratori e bruciatori di bambini, vogliono regalare loro uno Stato nel cuore di Israele”.
Cresce il riconoscimento della Palestina
Nel corso della settimana, durante le riunioni a margine dell’Assemblea Onu, diversi Paesi hanno formalizzato il riconoscimento della Palestina. Tra questi, nazioni occidentali storicamente vicine a Israele come Francia e Regno Unito, che fino a oggi avevano evitato un passo simile.
Netanyahu ha reagito con durezza, definendo il riconoscimento un “premio al terrorismo” dopo il massacro del 7 ottobre 2023, quando Hamas e altri gruppi armati palestinesi uccisero circa 1.200 persone nel sud di Israele. “Non ci sarà nessuno Stato palestinese a ovest del Giordano”, ha ribadito.
Gli Stati Uniti restano il principale alleato di Israele, pur non riconoscendo la Palestina come Stato. Ma giovedì il presidente Donald Trump ha segnato un limite, affermando che non permetterà a Israele di annettere la Cisgiordania occupata, mentre all’interno del governo Netanyahu continuano le pressioni per approvare nuovi insediamenti. Uno di questi progetti, già avallato, rischia di dividere la Cisgiordania in due parti distinte.
La voce palestinese
Giovedì è intervenuto anche il presidente Mahmoud Abbas, leader dell’Autorità palestinese. Impossibilitato a partecipare di persona perché privo di visto statunitense, Abbas si è collegato in videoconferenza.
Abbas ha accolto con favore il riconoscimento, ma ha esortato i leader a fare di più per rendere la statualità palestinese una realtà tangibile.
"È giunto il momento che la comunità internazionale faccia il bene del popolo palestinese e lo aiuti a realizzare i suoi legittimi diritti di liberarsi dall'occupazione e di non rimanere ostaggio del temperamento della politica israeliana", ha dichiarato Abbas.
L'Autorità palestinese, organismo guidato dal partito Fatah, amministra porzioni della Cisgiordania. Hamas ha vinto le elezioni legislative a Gaza nel 2006 prima di prendere il controllo di Fatah l'anno successivo.
Israele ha occupato la Cisgiordania, Gerusalemme Est e la Striscia di Gaza nella Guerra dei Sei Giorni del 1967, ma si è ritirato da Gaza nel 2005. I palestinesi vogliono che tutti e tre formino il loro Stato.
Netanyahu si oppone fermamente, sostenendo che la creazione di uno Stato palestinese premierebbe Hamas.
"Questo non accadrà", ha detto giovedì all'aeroporto.
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