Ursula von der Leyen verso il discorso sullo stato dell'Ue con un pieno di critiche alla Commissione

È giunto uno dei momenti più attesi dell'anno nell'Ue: il discorso sullo Stato dell'Unione europea che la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, terrà mercoledì a Bruxelles.
Il discorso serve tradizionalmente a riepilogare i risultati raggiunti nell'anno passato e a illustrare i piani per i 12 mesi successivi. Stavolta, tuttavia, l'intervento suonerà tutt'altro che vittorioso. Quando mercoledì mattina von der Leyen salirà sul palco del Parlamento europeo, si troverà in una posizione che finora le era sfuggita: la fragilità.
Praticamente sconosciuta quando fu eletta per la prima volta nel 2019, la capa della Commissione è riuscita a coltivare gradualmente l'immagine di una leader affidabile ed efficiente, in grado di guidare il blocco attraverso acque agitate e di spingere l'integrazione europea verso profondità inesplorate.
La sua risposta alla pandemia di Covid-19 ha visto l'esecutivo impegnarsi nell'acquisto di vaccini salvavita per 450 milioni di cittadini e nella creazione di un fondo di recupero basato sull'emissione di debito comune.
L'invasione su larga scala dell'Ucraina da parte della Russia ha ulteriormente rafforzato le sue credenziali, diventando una delle voci principali del fronte occidentale contro l'aggressiva invasione di Vladimir Putin.
Alla fine del 2022, la rivista Forbes ha nominato von der Leyen la donna più potente del mondo, titolo che ha poi mantenuto quando l'anno la presidente ha ottenuto un secondo mandato alla guida dell'esecutivo dell'Ue con 401 voti, un numero superiore a quello previsto dagli osservatori.
Nel giro di pochi mesi, tuttavia, la posizione di von der Leyen è sembrata aggravarsi, con accuse e rimproveri provenienti da quasi tutti gli schieramenti politici.
Tutte le critiche a von der Leyen dal 2024
L'opposizione crescente ha raggiunto il culmine lo scorso luglio, quando la presidente della Commissione è stata costretta a difendersi da una mozione di censura presentata dai deputati della destra. Pur sfidando i proponenti della mozione, che ha definito "burattini" controllati dalla Russia, von der Leyen si è assicurata di offrire un ramoscello d'ulivo agli altri legislatori.
"Riconosco che ci sono membri che non hanno firmato questa mozione, ma che hanno legittime preoccupazioni su alcune delle questioni che essa solleva", ha detto loro la presidente, "è giusto così. Fa parte della nostra democrazia, e io sarò sempre pronta a discutere qualsiasi questione che questo Parlamento voglia, con fatti e argomenti".
La conciliazione sembra essere caduta nel vuoto, visto che altre due mozioni di censura sono già in corso, un'inquietante anteprima per il nuovo anno lavorativo.
"Ursula von der Leyen si trova di fronte a un compito difficile nel suo Stato dell'Unione", ha dichiarato Fabian Zuleeg, direttore esecutivo dell'European Policy Centre (Epc), indicando come ulteriore problema il tumulto interno che affligge molti Stati membri, come nel caso della Francia.
"Il massimo che può sperare è di tenere ferma la nave, quindi è improbabile che questo Stato dell'Unione proponga l'agenda veramente ambiziosa di cui c'è bisogno" ha proseguito Zuleeg.
L'insoddisfazione per l'attuale Commissione sembra essersi diffusa in Parlamento.
La sua stessa famiglia politica, il Partito Popolare Europeo (Ppe), ha lanciato un'offensiva per minare la legislazione approvata nell'ambito del Green Deal, che von der Leyen una volta ha descritto con orgoglio come il "momento dell'uomo sulla luna" del blocco.
Il Ppe ha talvolta votato in sintonia con le forze di destra e di estrema destra per raggiungere questo obiettivo, scatenando la furia di socialisti, liberali e verdi, che considerano questa alleanza informale una violazione della promessa fatta loro dalla presidente in cambio della rielezione.
Rapporto con le destre, vicinanza a Israele e Green deal: i punti critici per von der Leyen
All'epoca, la leader della Commissione aveva rifiutato di perseguire una cooperazione strutturata con la destra radicale all'Europarlamento, una richiesta fondamentale dei progressisti per ottenere i suoi voti. Ma il Ppe ha colto lo slancio verso la semplificazione della regolamentazione, accolta con entusiasmo dagli Stati membri, per portare il suo programma anti-Green Deal alla fase successiva.
Lo scontro ideologico ha incrinato la coalizione centrista pro-europea che avrebbe dovuto sostenere il secondo mandato della politica tedesca nella Commissione. Tanto che quanto von der Leyen ha messo ai voti in Parlamento il suo nuovissimo collegio di commissari, il risultato è stato di 370 voti a favore, nettamente inferiore ai 401 voti che aveva ricevuto solo pochi mesi prima.
Da quel momento in poi, le crepe non hanno fatto che approfondirsi.
La riluttanza del blocco a sanzionare Israele per la sua guerra contro Gaza ha fatto infuriare gli eurodeputati di sinistra e ha spinto Teresa Ribera, vicepresidente esecutiva della Commissione, a rompere le righe in pubblico.
La proposta di ridurre le emissioni di gas serra del blocco del 90 per cento entro la fine del 2040 è stata ampiamente criticata dai conservatori, che hanno giurato di non farla passare.
Ma è l'accordo commerciale Ue-Usa che ha mandato in fibrillazione l'opposizione.
Secondo i termini, che la von der Leyen ha finalizzato in un incontro faccia a faccia con Donald Trump in Scozia, la stragrande maggioranza delle merci prodotte nell'Ue e destinate al mercato statunitense è soggetta a una tariffa del 15 per cento, mentre la stragrande maggioranza delle merci prodotte negli Usa e destinate al mercato dell'Ue è esente da dazi.
Fa eccezione un gruppo selezionato di prodotti, come gli aeromobili, le materie prime critiche e le attrezzature per semiconduttori, beneficia di uno schema "zero per zero" dazi.
Inoltre, il blocco si è impegnato a spendere 750 miliardi di dollari in energia americana, a investire 600 miliardi di dollari nell'economia Usa e 40 miliardi di dollari in chip AI americani entro la fine del mandato di Trump, senza che gli Stati Uniti abbiano assunto impegni simili.
Data la competenza esclusiva della Commissione nel definire la politica commerciale, la colpa dell'accordo estremamente sbilanciato è ricaduta in gran parte su von der Leyen, danneggiando quella che finora era stata la sua più grande risorsa: la sua reputazione di abile manager di crisi.
Nathalie Tocci, direttrice dell'Istituto Affari Internazionali (Iai), ritiene che la responsabilità debba essere condivisa con gli Stati membri, che hanno "minato" la tornata negoziale dell'esecutivo parlando pubblicamente per difendere i propri interessi nazionali.
"Il problema è il modo in cui il crescente nazionalismo all'interno dell'Europa (e) l'ascesa dell'estrema destra, hanno fondamentalmente svuotato ciò che potrebbe essere un'agenda integrazionista dell'Ue - e molto chiaramente, quasi per definizione, questo è ciò di cui si occupa la Commissione", ha detto Tocci a Euronews.
"Penso che sarebbe ingiusto dare la colpa (dell'accordo) esclusivamente a von der Leyen, perché sotto molti aspetti è vittima di un contesto politico più ampio. Si può dire che non stia facendo abbastanza per affrontare il problema, ma non può fare molto al riguardo", ha concluso la direttrice dell'Iai.
Dopo giorni di silenzio, von der Leyen ha ammesso che l'accordo era "solido ma imperfetto" e ha insistito sul fatto che avrebbe almeno fornito "stabilità e prevedibilità" in un momento di turbolenza. Poco dopo, l'affermazione è andata in frantumi quando lo stesso Trump ha minacciato di applicare tariffe supplementari come ritorsione per la multa antitrust da 2,95 miliardi di euro inflitta da Google dall'Ue.
Quando prenderà la parola per pronunciare il suo discorso a Strasburgo, mercoledì, la presidente della Commissione avrà davanti un pubblico che potrebbe preferire le scuse alle spiegazioni.
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