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Esclusiva - Qatargate, tre anni dopo parla Kaili: nessun processo e troppe ombre sull’inchiesta

• Dec 22, 2025, 5:30 AM
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Era stato presentato come lo scandalo destinato a scuotere il cuore della democrazia europea. Accuse esplosive, un’operazione di polizia senza precedenti e il sospetto che ingenti somme di denaro provenienti da Paesi terzi fossero state utilizzate per influenzare le decisioni del Parlamento europeo. Al centro della bufera, nel dicembre 2022, l’allora vicepresidente dell’Eurocamera Eva Kaili.

A tre anni di distanza, lo scandalo di corruzione che ha travolto il Parlamento europeo resta però irrisolto. Il processo non è ancora stato fissato e i metodi utilizzati dalle autorità belghe sono finiti a loro volta sotto esame. Kaili, rimossa dalle sue funzioni e dichiarata persona non grata nelle istituzioni europee, continua a proclamare la propria innocenza e chiede giustizia.

“La giustizia si basa su prove e fatti”, ha dichiarato in un’intervista esclusiva a Euronews. “Tre anni fa la percezione è stata presentata come giustizia. Oggi, però, possiamo vedere cosa è realmente accaduto”.

Il ritorno dell’attenzione mediatica

Il caso Kaili è tornato sotto i riflettori dopo l’arresto, all’inizio del mese, dell’ex Alto rappresentante dell’Ue Federica Mogherini, dell’alto funzionario europeo Stefano Sannino e di un membro del personale collegato al Collegio d’Europa, nell’ambito di un altro presunto scandalo di corruzione indagato dalla Procura europea (Eppo) e condotto dalla polizia belga.

Secondo Kaili, questi sviluppi confermerebbero l’esistenza di un problema strutturale. L’ex eurodeputata greca sostiene di non essere sorpresa dall’arresto di tre cittadini italiani nel caso Mogherini e parla apertamente di un tentativo di dipingere i Paesi dell’Europa meridionale come sistemicamente corrotti nell’opinione pubblica.

“Una vita distrutta”

Kaili racconta che la sua carriera politica e la sua vita personale sono state sconvolte dall’inchiesta. Il suo caso, afferma, dovrebbe servire da monito per chi lavora nelle istituzioni europee.

“Quando distruggono il principio della presunzione di innocenza, quando scelgono un bersaglio, mettono in scena le foto e scrivono il copione prima ancora che il caso venga aperto, significa che fare politica in Belgio e nell’Unione europea non è sicuro”, ha dichiarato. “I politici non dovrebbero avere paura di lavorare nelle istituzioni europee o di diventare un bersaglio”.

Anatomia di uno scandalo mediatico

Nel dicembre 2022, le autorità belghe condussero una serie di perquisizioni spettacolari, tra cui quella nell’abitazione di Kaili a Bruxelles, nell’ambito di un’indagine guidata dal giudice istruttore Michel Claise. La polizia federale diffuse l’immagine di una valigia piena di banconote da 500 euro, che divenne il simbolo dello scandalo a livello globale.

Kaili venne arrestata, le fu revocata l’immunità parlamentare e anche il suo compagno, Francesco Giorgi, e suo padre furono fermati. In totale, le autorità sequestrarono oltre 1,5 milioni di euro in contanti. L’ex vicepresidente dell’Eurocamera ha sempre negato di avere un legame personale con il denaro trovato nella sua abitazione, indicando invece come figura centrale dell’inchiesta l’ex eurodeputato Pier Antonio Panzeri.

Le autorità belghe ipotizzarono che Qatar, Marocco e Mauritania avessero pagato tangenti per influenzare decisioni politiche a Bruxelles. Accuse che Doha e Rabat hanno sempre respinto.

Un’indagine piena di ombre

Col passare del tempo, l’inchiesta ha incontrato numerose difficoltà. Il giudice Claise si è dimesso nel 2023 per presunti conflitti di interesse, pur negando un coinvolgimento diretto nell’indagine. Nello stesso anno ha lasciato l’incarico anche il procuratore federale Raphael Malagnini.

Anche i metodi investigativi sono stati contestati. Kaili ha trascorso quattro mesi in detenzione preventiva prima di essere rilasciata con il braccialetto elettronico. I suoi legali hanno parlato di condizioni di detenzione assimilabili alla tortura. Restano aperte le questioni sulla revoca dell’immunità parlamentare, che la difesa ritiene illegittima, e sulle numerose fughe di notizie verso la stampa.

Secondo Kaili, non si sarebbe trattato di semplici indiscrezioni. “Abbiamo messaggi tra procuratori, polizia e giornalisti che preparavano articoli prima ancora dell’inizio dell’indagine, decidendo titoli e narrazione”, ha affermato. “Non erano fughe di notizie, ma una pre-organizzazione”.

Il sospetto di una narrativa selettiva

L’ex eurodeputata contesta anche il ritratto mediatico che le è stato cucito addosso: quello di una donna ambiziosa, attratta da uno stile di vita lussuoso. “In realtà lavoravo duramente”, ribatte, sostenendo di aver agito nel quadro di un mandato istituzionale per i rapporti con i Paesi del Golfo, come dimostrerebbero e-mail interne.

Alla domanda su quale possa essere la motivazione ultima di quanto accaduto, qualora le sue accuse fossero confermate, Kaili risponde: “È una domanda legittima, ma può trovare risposta solo in un processo”.

“Questo non dovrebbe accadere a nessuno”

Kaili afferma di aver deciso di parlare ora per denunciare quello che considera uno schema ricorrente ai danni di funzionari provenienti dall’Europa meridionale. Il caso Mogherini, sostiene, rientrerebbe in questa dinamica.

È facile costruire una narrativa contro i Paesi del Sud. Ma le ipotesi, quando diventano verità mediatiche, distruggono le vite”, ha concluso. “Parlo nonostante le conseguenze per me e per la mia famiglia, perché questo non dovrebbe accadere a nessuno”.

L’ufficio del procuratore belga non ha risposto alle richieste di commento. L’inchiesta resta aperta, così come le domande su uno degli scandali più eclatanti nella storia recente dell’Unione europea.