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Che cos'è un clanker, la parola che fa riferimento a Guerre Stellari per la crociata anti-AI

Business • Sep 2, 2025, 12:09 AM
3 min de lecture
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Sui social media sta spopolando un nuovo modo di scherzare (ma anche di sfogare ansie) sull’intelligenza artificiale. Nei video circolano scenari futuristici in cui cresce l’odio tra gli esseri umani e i cosiddetti “clanker”, un soprannome che molti utenti hanno iniziato ad attribuire ai chatbot come ChatGPT.

Alcune clip mostrano genitori che dicono ai figli: “Non parliamo con loro”, oppure persone che sbraitano contro un assistente virtuale: “Porta fuori questo sporco clanker!”. Il tono è ironico, ma riflette paure e diffidenze reali.

Il termine “clanker” è diventato una parola chiave virale su TikTok e Instagram, accumulando centinaia di milioni di visualizzazioni. È arrivato persino nei discorsi di un senatore americano, che lo ha usato per sostenere la necessità di regolare meglio i chatbot impiegati nel servizio clienti.

L'AI che sferraglia

La parola però non nasce oggi. Le sue radici affondano nell’universo di Star Wars: era già usata in un videogioco del 2005 e nel film The Clone Wars del 2008 per indicare i droidi da battaglia, chiamati così per il rumore metallico che producevano. Da lì, la comunità online l’ha ripescata per trasformarla in etichetta ironica e dispregiativa per l’AI.

Quando è stato chiesto direttamente a ChatGPT cosa significhi “clanker”, il chatbot ha spiegato che sì, il termine viene da Star Wars, ma può avere anche altri usi: nel gergo militare britannico, in una saga di libri di Scott Westerfeld o più in generale per descrivere qualcosa che fa un rumore sferragliante.

La spiegazione però non menzionava il suo nuovo uso anti-AI. Il motivo è semplice: i modelli linguistici come ChatGPT vengono addestrati su enormi quantità di dati presi da internet, ma non sempre aggiornati in tempo reale, e quindi possono non cogliere subito slang e modi di dire appena nati online.

La doppia faccia della stessa medaglia AI

Il successo di “clanker” racconta bene l’ambivalenza con cui guardiamo all’intelligenza artificiale. Da un lato, c’è curiosità e fascinazione; dall’altro, c’è irritazione per i suoi errori — le cosiddette allucinazioni, quando inventa fatti inesistenti — e paura per il futuro del lavoro. Un sondaggio di EY del luglio scorso ha rivelato che il 42 per cento dei lavoratori europei teme che l’AI possa minacciare la propria occupazione.

Non mancano neppure i video che estremizzano la questione immaginando un mondo dove umani e chatbot convivono, arrivando persino ad avere relazioni sentimentali. Una fantasia che nasce dal fatto che l’AI diventa ogni giorno più “umana” nelle interazioni, al punto che qualcuno già la usa come confidente o addirittura come “terapista virtuale”.

In altre clip si vedono invece scenari cupi e distopici, con spazi pubblici e fontanelle “riservate ai clanker”. Sono gag, certo, ma fanno riflettere: con la velocità con cui l’intelligenza artificiale si sta diffondendo, quel futuro immaginato — a metà tra il comico e l’inquietante — potrebbe non essere così lontano.