Gaza, Al Jazeera: sale a sei il bilancio dei reporter uccisi in attacco aereo israeliano

È salito a sei il bilancio dei giornalisti uccisi domenica in un attacco aereo israeliano vicino all’ospedale al-Shifa, a Gaza City. Secondo le statistiche del Comitato per la protezione dei giornalisti (Cpj), 186 reporter sono stati uccisi dall’inizio dell’offensiva militare israeliana sulla Striscia, iniziata nell’ottobre 2023.
Le vittime sono i corrispondenti Anas al-Sharif e Mohammed Quraykh, insieme ai fotografi Ibrahim Zaher, Mohammed Nofel e Ma’man Aliwah. A questi si aggiunge il fotoreporter Mohammed Al-Khaldi, deceduto per le ferite riportate, secondo la Protezione Civile locale e un funzionario dell'ospedale. Per Al Jazeera i reporter si trovavano all’interno di una tenda per giornalisti di fronte all’ospedale quando sono stati colpiti.
Chi era Anas Al-Sharif, il giornalista ucciso da Israele
Anas Al-Sharif, 28 anni, era uno dei giornalisti di punta di Al Jazeera nella Striscia di Gaza. Nato nel campo profughi di Jabalia nel 1996, si era laureato in comunicazione di massa all’Università di Al-Aqsa, specializzandosi in radio e televisione. Dopo gli inizi come volontario presso Al-Shamal Media Network, era diventato corrispondente dal nord di Gaza per l’emittente. Celebre per i suoi reportage sui bombardamenti israeliani e, più recentemente, sulla fame che colpisce gran parte della popolazione, era noto per il coinvolgimento emotivo sul campo, in un servizio di luglio aveva pianto davanti alla telecamera vedendo una donna crollare per la denutrizione.
Secondo Israele, Al-Sharif “si faceva passare per giornalista” ma era in realtà un membro dell’ala militare di Hamas, accusa respinta con forza da Al Jazeera, che ha definito la sua uccisione in un raid israeliano un “assassinio premeditato” per “mettere a tacere le voci in previsione dell’occupazione di Gaza”.
Al-Sharif sapeva di essere nel mirino: il 6 aprile 2025 aveva pubblicato su X un testamento in cui affermava che, se fosse stato ucciso, “Israele è riuscito a mettere a tacere la mia voce”, ribadendo di non aver mai esitato a raccontare “la verità così com’è, senza distorsioni o falsificazioni”. Lascia la moglie e due figli, Sham e Salah.
La condanna di Al Jazeera per l'uccisione dei giornalisti
La tv ha denunciato l’episodio come un "nuovo attacco palese e deliberato alla libertà di stampa" e un "assassinio mirato", attribuendo la responsabilità all’esercito israeliano e al governo di Benjamin Netanyahu. In un comunicato ufficiale, l’emittente ha condannato "i crimini atroci e i tentativi continui di mettere a tacere la voce della verità", chiedendo alla comunità internazionale di intervenire per fermare gli attacchi contro i giornalisti.
"L’impunità e l’assenza di responsabilità consentono a Israele di perseverare", ha dichiarato Al Jazeera, definendo l’uccisione di al-Sharif - "uno dei più coraggiosi giornalisti di Gaza" - e dei suoi colleghi un "tentativo disperato" di eliminare le ultime voci rimaste nella Striscia a raccontare "la realtà drammatica" della guerra. Poco prima di morire, al-Sharif aveva pubblicato un video in cui descriveva "bombardamenti incessanti" sull’area orientale e meridionale di Gaza City.
Il direttore della rete lo ha definito "l’unica voce che riflette la realtà di Gaza per il mondo", sottolineando che i reporter non si trovavano in una zona di combattimento, ma in un’area considerata relativamente sicura. L’emittente ha ricordato che i suoi giornalisti hanno continuato a vivere "la stessa fame e sofferenza che documentavano con le loro telecamere", fornendo una copertura costante delle atrocità commesse durante la guerra.
La versione dell'esercito israeliano
L’esercito israeliano ha confermato di aver preso di mira al-Sharif, sostenendo che fosse il comandante di una cellula di Hamas e coinvolto in attacchi missilistici contro civili e militari israeliani. Ha dichiarato di possedere "prove documentali" della sua appartenenza al movimento palestinese, ma non le ha fornite. E non ha fornito i nomi degli altri giornalisti uccisi. Al Jazeera respinge queste accuse, denunciando una "campagna di incitamento" da parte delle forze israeliane.
Jody Ginsberg, direttrice esecutiva del Cpj, ha affermato che finora le autorità israeliane non hanno fornito prove a sostegno delle accuse di attività terroristiche contro i reporter uccisi. "Questo è uno schema già visto in passato: un giornalista viene ucciso e Israele afferma che fosse un terrorista, ma offre pochissime prove", ha dichiarato.
Oltre al pericolo dei bombardamenti, anche i reporter rimasti a Gaza affrontano la fame. Più di 100 organizzazioni umanitarie e per i diritti umani hanno ripetutamente avvertito che la Striscia è a rischio di carestia, Israele, che controlla l’ingresso degli aiuti, accusa queste organizzazioni di "diffondere la narrativa di Hamas".
In un clima di delegittimazione, nei giorni scorsi il quotidiano tedesco Bild aveva accusato reporter palestinesi di aver messo in scena immagini scattate a Gaza, in quello che l’emittente e diversi osservatori considerano parte di una più ampia campagna di propaganda volta a screditare i giornalisti palestinesi.
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