Shutdown in arrivo, senza accordo sul bilancio gli Stati Uniti rischiano la paralisi

Gli Stati Uniti si avviano verso uno shutdown del governo federale se entro mercoledì il Congresso non troverà un accordo sui finanziamenti. Il termine indica la sospensione di tutte le attività pubbliche considerate non essenziali, con conseguenze potenzialmente molto pesanti per l’economia americana.
Il meccanismo nasce dal fatto che il bilancio federale si rinnova ogni anno: alcune spese, come la previdenza sociale, il controllo del traffico aereo e i fondi destinati all’esercito, sono obbligatorie e finanziate automaticamente. Tutto il resto, che riguarda parchi nazionali, prestiti agricoli, agenzie di regolamentazione finanziaria e gran parte dei servizi pubblici, rientra invece nelle cosiddette spese discrezionali. Queste devono essere approvate ogni anno dal Congresso attraverso dodici leggi di stanziamento. Se le leggi non vengono votate in tempo, lo Stato non ha più l’autorizzazione a spendere e scatta lo shutdown.
In pratica, i dipendenti pubblici che lavorano nei servizi non essenziali vengono messi in congedo non retribuito, mentre chi è addetto ai servizi essenziali deve continuare a lavorare senza stipendio, che viene recuperato solo dopo la riapertura. Dal 1980 a oggi si sono verificati quattordici shutdown di questo tipo.
Le scadenze di bilancio e le soluzioni temporanee
L’attuale bilancio federale scade il 30 settembre 2025 e quello nuovo, per l’anno fiscale 2026, dovrebbe coprire il periodo dal 1° ottobre 2025 al 30 settembre 2026. Per evitare la paralisi, il Congresso può approvare una misura temporanea chiamata “continuing resolution”, che consente di estendere alcuni finanziamenti per un periodo limitato.
Nel 2023 sono state necessarie tre risoluzioni successive per tenere aperte le amministrazioni federali. Lo stesso è accaduto per l’anno fiscale 2025: il 23 settembre 2024 è stata approvata una prima risoluzione fino al 20 dicembre, poi un’altra fino al 14 marzo 2025, infine una terza l’11 marzo che ha prorogato la spesa fino alla mezzanotte del 30 settembre 2025. È esattamente qui che ci si trova ora, a ridosso della nuova scadenza, con un negoziato politico ancora bloccato.
Lo scontro politico tra democratici e repubblicani
Il nodo è tutto politico. Alla Camera dei Rappresentanti, dove i repubblicani hanno la maggioranza con 219 seggi contro i 212 dei democratici e 4 vacanti, basta la maggioranza semplice. Al Senato, invece, servono 60 voti su 100. I repubblicani ne hanno 53, i democratici 45, con due indipendenti che solitamente votano con loro: Bernie Sanders e Angus King. Per approvare una nuova risoluzione di continuità servirebbe quindi il sostegno di almeno 7 senatori democratici.
Tuttavia, i democratici condizionano il loro sì all’estensione dei crediti fiscali legati all’Affordable Care Act, noto come Obamacare, che scadranno a fine anno. I repubblicani rifiutano, accusando i rivali di voler garantire centinaia di miliardi di dollari in sussidi sanitari anche agli immigrati privi di documenti.
Lo stallo riflette divisioni profonde che rischiano di portare a un blocco delle istituzioni.
Gli effetti sull’economia reale
Uno shutdown significherebbe il congelamento del 27 per cento della spesa pubblica federale. Questo si tradurrebbe in una riduzione immediata della produzione di servizi pubblici, che contribuisce direttamente al Pil, e in un forte calo dei consumi da parte dei dipendenti pubblici rimasti senza stipendio.
Gli economisti stimano che ogni settimana di chiusura riduca il Pil reale trimestrale tra lo 0,1 per cento e lo 0,3 per cento, con una perdita compresa tra lo 0,5 per cento e l’1,5 per cento in caso di un mese intero di paralisi.
Quando lo shutdown finisce, una parte della spesa si recupera grazie agli stipendi arretrati che vengono pagati, ma non tutto: pranzi non consumati, spese di trasporto e servizi cancellati restano persi per sempre. Allo stesso tempo, le aziende fornitrici del governo smettono di ricevere pagamenti e si trovano in difficoltà, con il rischio di licenziamenti o fallimenti se la chiusura si protrae a lungo.
Le ripercussioni sui mercati e sui debiti pubblici
Gli effetti non si fermano ai servizi e ai consumi. I mercati finanziari reagirebbero con un aumento dei tassi di interesse sui titoli di Stato, considerati più rischiosi, e questo aggraverebbe i timori di un default entro la fine del 2025, quando sarà necessario anche affrontare il tema dell’innalzamento del tetto del debito.
L’aumento dei rendimenti obbligazionari porterebbe a tassi di credito più alti, colpendo in particolare i mutui e aggravando la crisi immobiliare, con ulteriori effetti negativi sulla crescita. Anche il mercato assicurativo risentirebbe dello stop: il National flood insurance program, che copre circa metà delle polizze contro le inondazioni, smetterebbe di funzionare, bloccando di fatto molte compravendite di case.
Un rischio per l’intera economia americana
Un ulteriore problema riguarda la produzione di statistiche economiche ufficiali, che verrebbe sospesa perché le agenzie pubbliche incaricate di raccogliere i dati non potrebbero lavorare. Senza indicatori aggiornati, la Federal Reserve e gli investitori si troverebbero in difficoltà nel prendere decisioni, aumentando l’incertezza e alimentando la volatilità sui mercati.
In sintesi, lo shutdown rappresenta comunque una paralisi delle istituzioni con conseguenze concrete sulla vita quotidiana degli americani, sull’economia reale e sulla fiducia dei mercati globali. Se il Congresso non troverà un compromesso nelle prossime ore, mercoledì gli Stati Uniti entreranno in una fase di incertezza politica ed economica dalle conseguenze difficilmente calcolabili.
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