L'Europa si inginocchia davanti a Trump a Washington

Quando Volodymyr Zelensky è tornato alla Casa Bianca questa settimana, non era solo. Al suo fianco, nello Studio Ovale di Donald Trump, c’erano il cancelliere tedesco Friedrich Merz, il presidente francese Emmanuel Macron, il premier britannico Keir Starmer, la premier italiana Giorgia Meloni, il presidente finlandese Alexander Stubb, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e il segretario generale della Nato Mark Rutte.
Uno schieramento di altissimo profilo che ha attraversato l’Atlantico per sostenere l’Ucraina, ma che nella messa in scena si è trasformato in un’immagine di debolezza: i leader europei disposti in semicerchio davanti a Trump, più come allievi di fronte a un preside che come partner paritari. Il simbolismo era chiaro: l’Europa non si presentava per trattare, ma per chiedere.
L’Europa supplica Trump per evitare nuove umiliazioni
Per mesi le capitali europee hanno ribadito l’impegno a mantenere un fronte unito a difesa di Kiev. La visita a Washington serviva soprattutto a proteggere Zelensky da un’altra umiliazione pubblica dopo il duro incontro di febbraio.
Questa volta il presidente ucraino si è mostrato in abito blu, ha consegnato una lettera personale della moglie a Melania Trump e ha seguito con attenzione il tono leggero del presidente americano. Trump, da parte sua, ha concesso vaghe promesse di garanzie di sicurezza “tipo articolo 5”, senza però aprire alla prospettiva di un ingresso nella Nato.
Il cuore dell’operazione diplomatica europea non era la negoziazione, ma la supplica: convincere Trump a non stringere un accordo unilaterale con Vladimir Putin e a non sacrificare l’Ucraina.
Garanzie senza sostanza e dipendenza dagli Stati Uniti
Il massimo risultato ottenuto è stato un “controllo dei danni”: Trump ha accettato che eventuali garanzie di sicurezza fossero coordinate con i partner europei. Tuttavia, queste restano promesse senza sostanza, prive di meccanismi concreti di applicazione.
Chi manderà truppe? Chi difenderà i cieli ucraini? Chi assicurerà protezione alle rotte del Mar Nero? Nessuno ha risposte, e questo rivela la realtà di fondo: senza gli Stati Uniti, l’Europa non ha la capacità militare, politica o diplomatica di affrontare la Russia.
Nonostante gli aumenti negli aiuti a Kiev dal 2022, il contributo europeo rimane marginale rispetto a quello americano. Persino la “Zeitenwende” tedesca, annunciata come svolta epocale, ha prodotto poco in termini di deterrenza immediata.
L’ombra di Putin e i silenzi di Washington
Altrettanto rivelatore è ciò che non è stato discusso apertamente. Da settimane circolano indiscrezioni su colloqui tra Trump e Putin riguardo a possibili “scambi di territori” lungo le linee del fronte, congelando l’occupazione russa di Donetsk, Luhansk, Kherson e Zaporizhzhia.
Le capitali europee hanno sempre ribadito che i confini dell’Ucraina sono inviolabili, ma nello Studio Ovale nessuno ha osato sfidare Trump direttamente. L’ex presidente ha liquidato la questione definendola “un problema che riguarda l’Ucraina”, una formula apparentemente di principio che lascia però spazio alle richieste di Mosca.
L’Europa, in silenzio, ha accettato l’ambiguità, mostrando impotenza.
La falsa autonomia strategica europea
Il punto più critico emerso dall’incontro è la contraddizione tra le dichiarazioni europee e la realtà dei fatti. L’Unione europea continua a parlare di “autonomia strategica”, ma nei fatti resta dipendente dall’ombrello americano.
Macron può proclamare che non bisogna mostrare debolezza alla Russia, ma la debolezza strutturale è già evidente: mancanza di risorse militari, carenza di coesione politica, assenza di peso diplomatico.
La Nato senza gli Stati Uniti è un guscio vuoto, e questo dà a Trump un margine di manovra enorme. Può minacciare dazi, deridere gli alleati, flirtare con Putin e ottenere comunque la loro obbedienza, perché sanno di non poter garantire da soli la sicurezza del continente.
Teatro di dipendenza mascherato da diplomazia
Alla fine, l’incontro di Washington non è stato una svolta, ma un teatro di dipendenza. I leader europei hanno applaudito promesse vaghe e hanno sorriso alle telecamere, evitando qualsiasi attrito. La loro unità era quella di chi firma un documento, non quella di chi stabilisce condizioni.
La realtà è che l’ordine di sicurezza europeo resta appeso agli impulsi di un presidente americano imprevedibile. L’Europa lo sa, ma continua a recarsi obbediente a Washington, sperando che Trump non la abbandoni, che Putin sia contenuto, che qualche vaga promessa basti a rassicurare. Questa non è strategia, ma dipendenza travestita da diplomazia.
Ashok Swain è professore di pace e ricerca sui conflitti all’Università di Uppsala, in Svezia
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